ArteArte e Olocausto è un percorso di opere realizzate da reclusi e grandi artisti per riflettere sull’Olocausto. L’articolo vuole essere un omaggio al “Giorno della Memoria” che si è appena celebrato. Tra le varie opere che questo percorso comprende, ne ho individuate alcune di particolare effetto, non solo visivo ma concettuale.

Nel giorno della memoria, che si celebra ogni 27 gennaio, riemergono le atrocità commesse da un crimine che la storia non cancella e che riporta racconti e testimonianze di sopravvissuti a quell’orrore umano. Moltissimi sono gli artisti che si sono ispirati a quei tremendi fatti storici, per trasporre in arte il grido disumano di quelle genti.

Tra le varie opere visionate, mi ha particolarmente colpita la Shoà nell’arte del pittore ebreo David Olère, deportato ad Auschwitz nel 1943, che divenne suo malgrado, importante testimone non solo dell’Olocausto, ma di come erano organizzati e costruiti i lager.

L’Artista. L’Opera.

Nato a Varsavia il 19 gennaio del 1902, David Olère studiò all’Accademia delle Belle Arti. Visse in Germania per poi trasferirsi a Parigi nel 1923, dove visse nel quartiere di Montparnasse. Pittore e cartellonista dell’Ecole de Paris, Olère frequentò gli ambienti artistici di Montmartre e Montparnasse nella Parigi degli anni Venti e Trenta. Mobilitato nel 1939, perse il proprio lavoro nel 1940 e subì le umiliazioni imposte agli ebrei dal governo di Vichy. Arrestato il 20 febbraio del 1943 dalla polizia francese, venne deportato da Drancy ad Auschwitz-Birkenau nel convoglio 49 del 2 marzo 1943. Fece parte del Sonderkommando, un corpo speciale formato da ebrei costretti a lavorare per i tedeschi. Evacuato di nascosto il 19 gennaio 1945 a fronte dell’avanzata dell’Armata rossa, sopravvisse alla “marcia della morte” che lo condusse a Mauthausen ed Ebensee (Austria), dove venne liberato dall’esercito americano il 6 maggio 1945. Tornato dai campi, non smise di testimoniare – con i disegni e i quadri – l’orrore di quegli anni. David Olère è morto il 2 agosto 1985 nei pressi di Parigi.

Olère, per tutto il periodo della detenzione, si occupò di disegnare illustrazioni, scrivere e decorare lettere per le SS. I suoi disegni furono in seguito utilizzati nei processi ai nazisti e aiutarono a rilevare com’erano strutturate le camere a gas e il loro funzionamento

Le opere di Olère trasmettono tutta la bruta ed efferata realtà di quei giorni e di quella fase della sua vita da prigioniero. Una delle sue opere, “La camera a gas” è un’immagine terribile che riproduce la disposizione dei corpi morti dei deportati in seguito alla gassificazione all’interno di stanze sigillate. In seguito i membri della Sonderkommando trasportavano i corpi al forno crematorio, come si evince dall’altra sua opera “Gli uomini del Soderkommando al lavoro”, entrambe del 1946. Nel disegno postumo dal titolo “Il Cibo dei morti per i vivi”, del 1952, l’artista ricorda la sua drammatica esperienza come membro del Sonderkommando dal 2 marzo del 1943 fino alla liberazione del 6 maggio del 1945. Si tratta del suo autoritratto in cui Olère si raffigura in primo piano con il suo numero identificativo (sul braccio destro) e ripetuto in basso a sinistra (guardando l’opera) dove si è soliti apporre la firma, mentre si appresta a raccogliere il cibo abbandonato da chi è stato trascinato nelle camere a gas, per gettarlo nel campo delle donne. Sullo sfondosi intravede il lager e degli ebrei che a fatica spingono, sotto l’occhio vigile delle SS, un carro di cadaveri, illuminati da un raggio di sole che squarcia il cielo plumbeo.

Olère è spesso presente nelle sue opere, smunto, scavato, spettrale, per rafforzare il tragico concetto del “io c’ero” e consolidare l’insopportabile ruolo del ‘testimone’.

Per non dimenticare e riflettere su ciò che è accaduto, il tema non poteva che occupare anche l’editoriale della settimana.

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