Fast fashion e sostenibilità: il futuro della moda passa dal second hand?
Maria Fioretti
Autore di +Plus! Magazine
La moda è da sempre un riflesso della società, ma oggi il settore dell’abbigliamento si trova di fronte a una delle sue più grandi sfide: la sostenibilità. Il modello del fast fashion, nato per offrire capi a basso costo e aggiornare costantemente le tendenze, ha portato a una produzione e un consumo frenetici, con conseguenze ambientali e sociali sempre più preoccupanti.
Secondo l’ONU, l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni globali di CO2, più di tutti i voli internazionali e il trasporto marittimo messi insieme. Inoltre, la produzione di abbigliamento consuma enormi quantità di risorse idriche: basti pensare che per realizzare un solo paio di jeans servono circa 7.500 litri d’acqua, l’equivalente di quanto una persona beve in sette anni. Il problema non si esaurisce qui: ogni anno, milioni di tonnellate di abiti vengono gettati via, con solo il 12% riciclato o riutilizzato, mentre il resto finisce in discarica o viene incenerito, contribuendo all’inquinamento atmosferico e alla contaminazione del suolo.

Oltre ai danni ambientali, il fast fashion ha un impatto devastante anche sulle condizioni di lavoro nei paesi in cui la produzione è delocalizzata. Molti dei capi venduti nei mercati occidentali sono realizzati in fabbriche dove i lavoratori, spesso donne e minori, ricevono salari da fame e operano in ambienti insalubri e pericolosi. Tragedie come il crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013 hanno portato alla luce le drammatiche condizioni dell’industria tessile, spingendo consumatori e attivisti a chiedere maggiore trasparenza e giustizia sociale nel settore della moda.
Di fronte a questa crisi, cresce la consapevolezza dell’importanza di un modello alternativo: la moda circolare. Acquistare capi di seconda mano, optare per abiti rigenerati o riciclati e scegliere marchi che adottano pratiche sostenibili sono alcune delle strategie per ridurre l’impatto ambientale del nostro guardaroba.

Il mercato del second hand è in piena espansione, con un valore che si stima possa superare quello del fast fashion entro il 2030. Piattaforme digitali, negozi vintage e iniziative di scambio stanno rivoluzionando il modo in cui ci approcciamo alla moda, trasformando l’idea dell’usato da necessità economica a scelta di stile consapevole. Grandi marchi come Gucci, Levi’s e Patagonia stanno investendo in programmi di rivendita e riciclo, segno che il cambiamento è in atto.
Il futuro della moda dipende dalle scelte di aziende e consumatori. La domanda per una produzione più etica è in crescita, ma la responsabilità ricade anche su chi acquista: scegliere capi di qualità, ridurre gli acquisti impulsivi e dare nuova vita ai vestiti già esistenti sono passi fondamentali per contrastare gli effetti negativi del fast fashion.
Rallentare il ritmo della moda non significa rinunciare allo stile, ma abbracciare un approccio più consapevole e sostenibile, in cui il valore degli abiti non sia solo estetico, ma anche ambientale ed etico. Il second hand, da semplice alternativa, potrebbe diventare la chiave per rivoluzionare l’intero settore.

La sostenibilità è un tema che attraversa ogni aspetto della nostra vita quotidiana: dalla moda che indossiamo, come abbiamo visto in questo articolo, alla scienza, al cibo, all’energia e molto altro. Qui su Plus Magazine esploriamo regolarmente queste connessioni, perché crediamo che ogni piccola scelta consapevole possa fare la differenza. Quali passi stai già compiendo verso uno stile di vita più sostenibile?