Lex – Norma cardine del sistema è senz’altro l’art. 1223 c.c. “Risarcimento del danno”, così come richiamata dall’art. 2056 c.c. “Valutazione dei danni”.

Detta norma chiarisce che il risarcimento del danno “deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”, tanto ad escludere che nel nostro ordinamento possa trovare ingresso il risarcimento del c.d. danno evento (risarcibile è non già la lesione in sé di un interesse giuridicamente tutelato – danno evento – quanto piuttosto il pregiudizio concretamente sofferto dalla vittima in conseguenza di detta lesione – danno conseguenza).

Tale considerazione è di primaria importanza nella disamina dell’illecito aquiliano perché rende oltremodo comprensibile il percorso seguito dalle Sezioni Unite a proposito del c.d. danno tanatologico (Cass. SS.UU. 15350/2015) e del danno da nascita indesiderata (Cass. SS.UU. 25767/2015 – su cui già si è scritto in precedente articolo).

Il danno tanatologico è il danno da morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo dalle lesioni.

La circostanza che alla lesione sia seguita immediatamente la morte, non determinando la stessa alcuna conseguenza dannosa per l’individuo porta ad escludere il diritto al risarcimento dei danni.

È vero, infatti, che i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo in sé considerato (Cass. SS.UU. 22/07/2015, n. 15350).

Deve a tal proposito ritenersi superata la prospettiva originaria secondo la quale il cuore del sistema della responsabilità civile sia legato a un profilo di natura soggettiva e psicologica, che ha riguardo all’agire dell’autore dell’illecito e vede nel risarcimento una forma di sanzione analoga a quella penale, con funzione deterrente (secondo la ricostruzione, quindi, sarebbe risarcibile l’evento morte, pur se ad essa non ne siano derivate conseguenze).

L’attuale impostazione, sia dottrinaria che giurisprudenziale, (che nelle sue manifestazioni più avanzate concepisce l’area della responsabilità civile come sistema di responsabilità sempre più spesso oggettiva, diretto a realizzare una tecnica di allocazione dei danni secondo i principi della teoria dell’analisi economica del diritto) evidenzia come risulti primaria l’esigenza (oltre che consolatoria) di riparazione (e redistribuzione tra i consociati, in attuazione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.) dei pregiudizi delle vittime di atti illeciti, con la conseguenza che il momento centrale del sistema è rappresentato dal danno, inteso come “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva” (Corte Cost. n. 372 del 1994). Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (Cass. n. 1633 del 2000; n. 7632 del 2003; n. 12253 del 2007).

D’altra parte, la morte non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte.

Dunque, la Cassazione fa precipua applicazione di quanto dettato dall’art. 1223 c.c., arrivando ad escludere la risarcibilità ex se del danno tanatologico.

D’altra parte, se la finalità risarcitoria è quella di reintegrare il patrimonio del danneggiato, ovvero quella di ripristinare la situazione ex ante infortunio, tanto da consentire al danneggiato la prosecuzione in vita secondo condizioni ottimali, si comprenderà l’irragionevolezza di un risarcimento a vantaggio di un soggetto che soggetto non è più.

Pertanto, in risposta a coloro che a tale assunto rispondono che allora “è più conveniente uccidere che ferire”, tenuto conto che non è possibile ricondurre al risarcimento del danno l’unica forma di tutela dell’interesse leso, è lecito osservare che alla tutela della vita il legislatore è intervenuto attraverso la norma penale, certamente a carattere preventivo – dissuasivo, oltre che sanzionatorio.

D’altra parte non vi è norma o principio costituzionale che imponga al legislatore di prevedere che la tutela penale sia necessariamente accompagnata da forme di risarcimento che prevedano la riparazione per equivalente di ogni perdita derivante da reato anche quando manchi un soggetto al quale la perdita sia riferibile (Cass. SS.UU. 15350/15).

Per dette argomentazioni, quindi, può certamente escludersi che l’evento morte determini il diritto al risarcimento e che di esso possano avvantaggiarsene gli eredi del de cuius.

Questi ultimi, al più e previo assolvimento dell’onere probatorio, saranno portatori di un proprio autonomo diritto al risarcimento del danno, di natura patrimoniale o di natura non patrimoniale (es. danno parentale, consistente nella sofferenza patita per la perdita di una persona cara a seguito dell’altrui commissione di un illecito).

Discorso a parte è a farsi con riferimento al cd. danno catastrofale (o danno morale da lucida agonia), di un pregiudizio –sub specie danno non patrimoniale – rivendicabile “iure hereditatis” (Cass. n. 7126/2013), in quanto patito dalla vittima prima del suo decesso, a condizione che questi si sia prospettato l’imminente exitus (consapevolezza in capo alla vittima dell’imminenza della morte o della gravissima entità delle lesioni subite – Cass. n. 6754/2011).

In quanto danno morale è irrilevante il profilo della durata del pregiudizio, invece tipico del danno biologico (in ciò consta la differenza tra danno biologico terminale risarcibile ed il danno tanatologico, invece irrisarcibile); ciò che conta, invero, è che “nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona di trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l’imminenza della morte …” (Cass. n. 26727/2018).

Ciò detto, per quel che concerne la liquidazione di siffatto danno, è da escludersi che tale sofferenza possa trovare rimedio nella meccanica applicazione dei criteri tabellari utilizzati per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso. Sicché il danno catastrofale è liquidabile dal giudice esclusivamente in via equitativa, tenuto conto di fattori di personalizzazione di una simile sofferenza (Cass. n. 16592/2019).

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