Lex – La volontà dei condomini è espressa nella delibera condominiale e di essa si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall’amministratore, ai sensi dell’art. 1136 c.c. ultimo comma. Trattasi quindi di atto negoziale plurisoggettivo, espressione di un atto vincolante per tutti i condomini, quand’anche assenti o dissenzienti (art. 1137 c.c., comma primo), la cui forma scritta è richiesta ad substantiam (Cass. SS.UU. n. 4806/2005).  

La vincolatività della deliberazione assembleare, ovviamente, non esclude la loro impugnazione. Invero, a norma del secondo comma dell’art. 1137 c.c. “Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.”.

La chiarezza della norma, tuttavia, sconta le difficoltà nel distinguere le delibere annullabili (soggette quindi al termine decadenziale di trenta giorni) da quelle inesistenti o nulle (queste non soggette a termini decadenziali ed impugnabili da chiunque vi abbia interesse).

Originariamente la Cassazione (Cass. SS.UU. n. 4806/2005) ha individuato il criterio distintivo tra nullità e annullabilità nella contrapposizione tra “vizi di sostanza”, come tali afferenti al contenuto delle deliberazioni, e “vizi di forma”, afferenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle deliberazioni assembleari: i “vizi di sostanza” determinanti la nullità delle deliberazioni assembleari – si è detto – ricorrerebbero quando queste ultime presentano un oggetto impossibile o illecito; i “vizi di forma”, determinanti invece l’annullabilità, ricorrerebbero quando le deliberazioni sono state assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prescritte dall’art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c..

Il criterio distintivo enunciato dalla menzionata pronuncia, tuttavia, si è rivelato non del tutto adeguato, soprattutto con riferimento alle deliberazioni assembleari aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese afferenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dei criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123 c.c. e segg.) o dal regolamento condominiale contrattuale.

Inadeguatezza che deriva dall’art. 1137 c.c., come riformato dalla L. 11 dicembre 2012 n. 220. Invero, l’articolo oggi configura espressamente l’impugnazione delle deliberazioni condominiali come azione di annullamento (riferimento invece assente ante riforma). L’art. 1137 c.c. sottopone inequivocabilmente al regime dell’azione di annullamento, senza distinzioni, tutte “le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento condominiale“; ciò vuol dire che, secondo la disposizione in esame, sono annullabili non solo le deliberazioni assembleari che presentano vizi di forma, afferenti cioè alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, ma anche quelle che presentano vizi di sostanza, afferenti al contenuto del deliberato.

Sicché la categoria giuridica della nullità, con riguardo alle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, ha una estensione del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità, attenendo essa a quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel modo giuridico (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

In particolare, per la Cassazione (Cass. SS.UU. n. 9839/2021) la deliberazione dell’assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità nei seguenti casi: 1) mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali (volontà della maggioranza; oggetto; causa; forma), tale da determinare la deficienza strutturale della deliberazione: è il caso, ad es., della deliberazione adottata senza la votazione dell’assemblea; o della deliberazione priva di oggetto, ossia mancante di un reale decisum ovvero con un oggetto non determinato né determinabile; o della deliberazione priva di causa, carente cioè di una ragione pratica giustificativa della stessa che sia meritevole di tutela giuridica; o della deliberazione non risultante dal verbale dell’assemblea, sprovvista perciò della necessaria forma scritta. 2) impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione. L’impossibilità materiale dell’oggetto della deliberazione va valutata con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato; l’impossibilità giuridica dell’oggetto, invece, va valutata in relazione alle “attribuzioni” proprie dell’assemblea. In ordine all’impossibilità giuridica dell’oggetto, vale la pena di osservare che l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni; essa è abilitata ad adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio (avendo le attribuzioni indicate dall’art. 1135 c.c. carattere meramente esemplificativo), purché destinato alla gestione delle cose e dei servizi comuni. Perciò, l’assemblea non può perseguire finalità extracondominiali (Cass., Sez. 2, n. 5130 del 06/03/2007); e neppure può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi. E allora, il potere deliberativo dell’assemblea in tanto sussiste in quanto l’assemblea si mantenga all’interno delle proprie attribuzioni; ove l’assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge, la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da “difetto assoluto di attribuzioni”. Il “difetto assoluto di attribuzioni” è un vizio che non attiene al quomodo dell’esercizio del potere, ma attiene all’an del potere stesso; esso non dipende dal cattivo esercizio in concreto di un potere esistente, ma dalla carenza assoluta in astratto del potere esercitato: in tali casi, la deliberazione non è idonea a conseguire l’effetto giuridico che si proponeva, risultando affetta da nullità radicale per “impossibilità giuridica” dell’oggetto. Non così avviene, invece, quando l’assemblea adotti una deliberazione nell’ambito delle proprie attribuzioni, ma eserciti malamente il potere ad essa conferito; quando essa adotti una deliberazione violando la legge, ma senza usurpare i poteri riconosciuti dall’ordinamento ad altri soggetti giuridici: in tali casi, la deliberazione “contraria alla legge” è semplicemente annullabile, secondo la regola generale posta dall’art. 1137 c.c. 3) illiceità. Si tratta di quei casi in cui la deliberazione assembleare, pur essendo stata adottata nell’ambito delle attribuzioni dell’assemblea, risulti avere un “contenuto illecito” (art. 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario a “norme imperative”, all'”ordine pubblico” o al “buon costume”. Sono nulle, innanzitutto, le deliberazioni assembleari che abbiano un contenuto contrario alle norme imperative. Le norme imperative sono quelle norme non derogabili dalla volontà dei privati, poste a tutela degli interessi generali della collettività sociale o di interessi particolari che l’ordinamento reputa indisponibili, assicurandone comunque la tutela. Nella disciplina del condominio degli edifici, le norme inderogabili sono specificamente individuate dall’art. 1138 c.c., comma 4, e art. 72 disp. att. c.c.. Parimenti vanno ritenute nulle le deliberazioni assembleari che abbiano un contenuto contrario all’ordine pubblico, inteso quale complesso dei principi generali dell’ordinamento (tale sarebbe, ad es., una deliberazione che introducesse discriminazioni di sesso o di razza tra i condomini nell’uso delle cose comuni); ovvero che abbiano un contenuto contrario al buon costume, inteso quest’ultimo come il complesso delle regole che costituiscono la morale della collettività sociale in un dato ambiente e in un determinato tempo. In questi casi, la deliberazione assembleare, nonostante verta su una materia rientrante nelle attribuzioni dell’assemblea, si pone però in tale contrasto con i valori giuridici fondamentali dell’ordinamento da non poter trovare alcuna tutela giuridica, sicché la sua nullità può essere fatta valere in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (anche da parte del condomino che abbia votato a favore della sua approvazione).

Al di fuori di tali ipotesi, deve ritenersi che ogni violazione di legge determina la mera annullabilità della deliberazione, che può essere fatta valere solo nei modi e nei tempi di cui all’art. 1137 c.c..

Con particolare riferimento alle delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali, queste sono nulle per “impossibilità giuridica” dell’oggetto ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della deliberazione – anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato. In proposito, va osservato che le attribuzioni dell’assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall’art. 1135 c.c., nn. 2 e 3, alla verifica ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l’art. 1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio; di modo che l’assemblea che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative) si troverebbe ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”. Al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell’assemblea la deliberazione che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta deliberazione non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dall’art. 1123 c.c. e segg. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative; pertanto, tale deliberazione deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine (trenta giorni) previsto dall’art. 1137 c.c., comma 2. (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Sotto l’aspetto procedurale, quale che sia il vizio della deliberazione fatto valere (nullità o annullabilità), va detto che l’azione può essere promossa in via autonoma od in via riconvenzionale, anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto la validità della deliberazione rappresenta un elemento costitutivo della domanda di pagamento (Cass. n. 305/2016; Cass. n. 19832/2019).

Infatti, non v’è ragione alcuna di precludere al giudice dell’opposizione di accertare, ove richiesto o dovuto, la sussistenza del presupposto necessario per la pronuncia di rigetto o di accoglimento dell’opposizione, tanto più in considerazione delle ragioni di economia processuale (art. 111 Cost.). Infatti “negare al giudice dell’opposizione la possibilità di sindacare la invalidità della deliberazione posta a base dell’ingiunzione provocherebbe la moltiplicazione dei giudizi, perchè costringerebbe il giudice a rigettare l’opposizione e obbligherebbe la parte opponente, che intenda far valere detta invalidità, a promuovere separato giudizio e, successivamente, nel caso in cui la deliberazione fosse annullata, a proporre domanda di accertamento e di ripetizione di indebito ovvero opposizione all’esecuzione, prolungando così il contenzioso tra le parti. Al contrario, riconoscere al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo la possibilità di sindacare la validità della deliberazione assembleare consente di definire nel medesimo giudizio tutte le questioni relative alla Delib. su cui si fonda l’ingiunzione e di evitare la proliferazione delle controversie. Si tratta di una interpretazione che, oltre ad essere in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, consente anche di evitare il rischio di contrasti di giudicati.”  (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

Con la precisazione che qualora la domanda abbia oggetto l’annullamento della deliberazione assembleare, essa andrà proposta nel termine decadenziale di cui a menzionato art. 1137 c.c. (differentemente dall’azione di nullità, non soggetta a termine).

Certo è che l’annullamento non potrà essere fatto valere in via d’eccezione. A tal proposito afferma la Cassazione  “nel sistema normativo, come non è possibile che una deliberazione assembleare valida ed efficace vincoli alcuni condomini e non altri, essendo invece obbligatoria per tutti; così va escluso che la deliberazione assembleare possa essere giudizialmente annullata con effetto limitato al solo impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri partecipanti. La natura di ente collettivo del condomino, gestore di beni e di servizi comuni, esige che le deliberazioni assembleari debbano valere o non valere per tutti. Quanto detto impone di interpretare l’art. 1137 c.c., comma 2, nel senso che l’annullabilità della deliberazione non può essere dedotta in via di eccezione, ma solo “in via di azione”, ossia nella sola forma che consente una pronuncia di annullamento con efficacia nei confronti di tutti i condomini. Vale la pena di osservare in proposito che, mentre l’azione di impugnativa è un’azione costitutiva, che mira alla rimozione della deliberazione con efficacia erga omnes, l’eccezione ha il limitato scopo di paralizzare la domanda altrui ed ottenerne il rigetto, senza sollecitare la cancellazione della deliberazione viziata dal mondo giuridico. Pertanto, ove fosse consentito dedurre l’annullabilità della deliberazione in via di eccezione, la deliberazione che risultasse viziata sarebbe privata di validità e di efficacia solo nei confronti del condomino eccipiente, restando valida ed efficace nei confronti degli altri condomini. Un risultato di questo genere, però, sarebbe in contrasto con le esigenze di funzionamento del condominio, fatte proprie dal legislatore, e, nel caso di deliberazioni di ripartizione delle spese, renderebbe impossibile la gestione della contabilità condominiale. Infatti, la quota di contribuzione di ciascun partecipante al condominio è rapportata alla quota di contribuzione degli altri, cosicché la caducazione di una quota non può non travolgere, inevitabilmente, anche le altre.” (Cass. SS.UU. n. 9839/2021).

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