«Dopo il fallimento della ri-progettazione, s’impone la prospettiva del restauro urbano e territoriale, che è anche la via dell’innovazione durevole. Come il restauro di un edificio comporta, nella scala inferiore, rifacimenti o aggiunte parziali, così il restauro urbano permette di collocare a ragione veduta gli interventi innovativi, e di attribuirvi un significato pregnante per l’intero territorio.» (Benevolo L.)

In Italia abbandono e spopolamento  dei piccoli paesi sono due fenomeni in atto da oltre mezzo secolo. I due termini non sono sinonimi, ma piuttosto segni che producono effetti interscambiabili tra loro, conducendo lentamente al medesimo risultato, prefigurabile come la fine di quel secolare mondo abitato tradizionalmente noto come la terra dei paesi.

La storia del mezzogiorno d’Italia ma in generale quella delle cosiddette aree interne più deboli, per molti versi è una storia di emigrazioni in cerca di condizioni di vita migliori e di maggiori prospettive per il futuro. Il “lasciato dietro” è materialmente costituito dal patrimonio immobiliare dei luoghi di origine, che per forza di cose rappresenta oggi nella sua silenziosa staticità il primo segno manifesto di tale condizione.

Le cause dello spopolamento hanno motivi di natura storica, geografica e antropologica in generale. In un territorio abbandonato ci sono peculiarità: quali i naturali eventi calamitosi (frane e terremoti), le periodiche crisi economiche e i non meno esiziali effetti prodotti dalle scellerate azioni umane, come il malgoverno amministrativo e l’uso consumistico e speculativo del territorio.

La miriade dei piccoli centri abitati che punteggiano e caratterizzano il paesaggio del mezzogiorno d’Italia, hanno storicamente una conclamata origine tardo antica: la fine dell’impero romano e le invasioni barbariche ad ondate, fecero assurgere il movimentato paesaggio interno e la sua accidentata conformazione, a nuovo e ideale ambiente insediativo. Fu così che le popolazioni in fuga o semplicemente in movimento, risalirono le alture, e stabilirono nell’arroccamento abitativo su rilievi e colline, la base fondante di tutti quegli abitati che ancora oggi costituiscono la diffusa ossatura abitativa dei nostri paesi interni.

Ma evidentemente i fenomeni abitativi hanno anche il loro rovescio, se quelle peculiari e originali condizioni insediative, sono da oltre un secolo intese come i prevalenti punti di debolezza del vivere nelle aree interne. Ed è fin troppo palese che isolamento e mancanza di strade sono buoni e storici presupposti difensivi, ma al contempo rappresentano vulnerabilità abitative nel mondo industrializzato prima e globalizzato poi.

La storica emigrazione, un tempo si diceva dalle campagne è stato il primo segnale di quello che oggi chiamiamo abbandono e spopolamento. L’emigrazione post unitaria della fine dell’Ottocento e poi quella successiva di inizio ventesimo secolo e fino all’ultima del secondo dopoguerra, si lasciava dietro dei paesi ancora numerosi di gente. La popolazione ne risultava dimezzata, ma c’era comunque ancora bisogno di infrastrutture e presidii amministrativi.  Oggi invece sembra di assistere all’atto finale dello svuotamento, quello procrastinato nei decenni del boom economico, e quello stabilizzato sui numeri dei residenti dagli anni del benessere, del lavoro a posto fisso e dei trasferimenti finanziari statali. Le scuole sono diventate da anni un lusso retto sul filo dell’ultimo scolaro iscritto; le agognate strade rotabili, in più di qualche comprensorio inutilmente pletoriche, non si riesce a manutenerle; il lavoro aperto ai ritmi della concorrenza globale non possiede più quella componente keynesiana, che tanto aveva contribuito alla stabilizzazione della passata popolazione attiva.  

Degli anni della crescita economica e di quando l’austerità era solo un ricordo dei tempi della guerra, le aree interne e i loro centri abitati recano purtroppo anche i segni dello spreco e della malamministrazione, «il paesaggio delle grandi città, dei centri minori, delle campagne e delle coste, fotografa le storture di questo mezzo secolo di democrazia imperfetta» (Benevolo L. 1996).

Almeno per le aree interne del nostro mezzogiorno, la problematica sopravvivenza dei centri minori, non può imputarsi esclusivamente alla endemica mancanza delle risorse economiche. La gestione, di tutta la legislazione speciale del secondo dopoguerra, passando per quella del post-terremoto del 1980 e finendo purtroppo alle odierne politiche di sviluppo europeo in atto fin dalla fine degli scorsi anni Novanta, ha avuto come esito appunto il conclamato fenomeno dell’abbandono e dello spopolamento delle aree interne. Un consuntivo dunque decisamente negativo che impone un cambio delle modalità di approccio e di interventi risolutivi sul territorio e sulle comunità insediate.

Eppure oggi un nuovo modello di sviluppo può proporsi proprio con l’intento di arrestare la desertificazione delle aree interne e il degrado per abbandono dei minuti centri urbani. Cercando di ricostruire anche con forme moderne quel rapporto deteriorato tra campagna e città.

Le odierne problematiche delle grosse e tentacolari aree urbane: l’inquinamento ambientale di aria, acqua e suolo, il traffico automobilistico, l’inaccessibile mercato delle abitazioni. Potrebbero pensarsi come dei disvalori attenuabili, se non colmabili con quanto rinvenibile nei centri abitati minori: con la buona fruizione ambientale alla portata di tutti; con la disponibilità di immobili a prezzi congrui e accessibili; con la diffusione delle nuove tecnologie a rete e le connessioni; con il rendere fruibili nell’immediato quei servizi capaci di alleggerire il traffico automobilistico da spostamento lavorativo e di servizio.

Oggi una fetta di popolazione in aumento, coinvolta dalla diffusione informativa e visiva del web, sembra ricercare una rinnovata bellezza del vivere, che potrebbe esplicitarsi in tante forme: dalla casa di abitazione all’ambiente di vita che la contiene, passando per la ricerca dei cibi sani e di altrettanto stile di vita.  Si potrebbe pertanto aiutare queste persone ad alimentare aspettative concrete, cercandogli e offrendogli architetture dal vero e abitate, non ricostruite nei musei o peggio ancora simulate e proposte in molti desolanti scenari edilizi di piccole e grandi dimensioni.

Il recupero in ottica di ripopolamento dei piccoli paesi, potrebbe pertanto passare per il miglioramento della qualità abitativa. Senza perseguire una operazione romantica o d’élite, ma piuttosto attuando una ricerca di un modello da emulare e seguire nell’allestimento del moderno abitare, e nella indifferibile nuova frontiera della necessaria riduzione del consumo di suolo.

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