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Ivan Schirmenti, ambasciatore del made in Italy nella fotografia.

Antonia Di Nardo

Antonia Di Nardo

Per me la vita è un continuo stupore, sarà la mia tendenza al surrealismo. Sarà la convinzione, come diceva Frida Kahlo, che "Il surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone in quell'armadio in cui si voleva prendere una camicia.

Pubblicato il: 9 Maggio 2025
9 min lettura

Il fotografo palermitano Ivan Schirmenti ha vinto il prestigiosissimo Golden Camera Wedding 2025, premio internazionale conferitogli in Danimarca, a Copenaghen dalla Fep Federation of European Photographer, con un’idea di marketing ben chiara: il made in Italy nella fotografia. Tra 490 professionisti, Ivan si aggiudica il titolo di Miglior fotografo Europeo nella categoria Wedding, Medaglia d’oro 2025.

Ma già nel 2023 aveva acquisito il titolo riconosciuto in tutta Europa di Qualified European Photographer (QEP) e Master QEP che è un’attestazione di qualità e competenza, che identifica gli elevati standard professionali del fotografo che lo riceve. Può essere rilasciato a chi opera in settori specializzati come il matrimonio, il ritratto, la pubblicità, la fotografia industriale e la moda, in maniera che i clienti possano avere una garanzia sulle prestazioni del professionista.

Ivan Schirmenti

Ivan si racconta ai lettori di Plus Magazine.

Come nasce la tua passione per la fotografia? La tua attività di fotografo ha inizio nell’era digitale o in quella analogica?

Comincio a fare l’assistente di mio padre Francesco, già “Master of Photography” e ben due volte fotografo del calendario Kodak

Avevo 12 anni quando inizia a fare l’assistente e il tecnico delle luci a mio padre. Per sette anni ho aiutato mio padre, senza scattare una foto, portando borsoni e lampade, con mia madre che in principio, mi rincorreva con il cucchiaio di legno per convincermi. Mio padre mi diceva che finché non fossi diventato padrone della mia luce non sarei stato padrone della mia fotografia. Aveva ragione. Ho 41 anni e nasco come fotografo, quindi, in piena era analogica.

Tecnicamente posso affermare di aver portato il sistema zonale nel digitale.

Una foto va pensata in bianco e nero già prima di fotografarla. Non basta solo togliere il colore. Il sistema zonale consente di restituire dettagli in ombra e in luce, attraverso una precisa densità dei grigi.

Oggi anche io sono tra i Masterphotographer e posso, con un pizzico di orgoglio, affermare di aver superato il maestro.

Ivan Schirmenti

Compi, però, studi in psicologia laureandoti all’Università di Palermo. Che legame c’è nella tua vita tra psicologia e fotografia?

Per me la chiave di tutto è l’autostima che ha permesso a me di credere nel mio brand e mi consente di tirare fuori il meglio dalle persone che fotografo, ma anche da tutti coloro che incontro nel mio Business Accademy. Non sono io che curo i contatti preliminari con i clienti. Il giorno in cui entro in scena per fare le foto agli sposi, non li conosco. I contatti sono curati interamente dai miei collaboratori fino al giorno delle nozze, quando, poi, entro in azione personalmente. Trascorro il tempo del trucco e parrucco a parlare con la sposa. Dalla chiacchierata scopro la storia della coppia. La lascio parlare come durante una terapia.

Il matrimonio è donna, è lei la chiave autentica della cerimonia. Ma per riuscire a fare delle foto veritiere devo capire che cosa sogna la sposa, quali sono le sue aspirazioni, tutto quello che ha portato con sé fino al giorno del sì.

Quando le conosci così, senza giudizio, in un giorno felice, si può tirare fuori al massimo la loro bellezza.

Che cos’è la Business Accademy e che ruolo hai al suo interno?

Prima non mi piaceva molto fare questo paragone, ma oggi, invece, credo che sia pregnante. Business Accademy sta agli studi fotografici, come lo show Sky original Cucine da incubo sta ai ristoranti. Un format di riorganizzazione con l’obiettivo dell’ottimizzazione aziendale.

Vado dove i fotografi vogliono che li affianchi; per due giorni li osservo, per vedere che cosa non funziona nei loro studi, per ottimizzare e dare consigli, dall’arredamento a listini prezzo, dall’abbigliamento alla filosofia del loro brand. Trascorro altri due giorni a consigliare i primi passi verso una rivoluzione che tiri fuori il loro autentico carattere, il coraggio di fare quello che a volte solo in nuce è abbozzato. Do semplicemente la spinta decisiva per realizzare quello che ognuno ha dentro di sé. Mi piace pensare che motivo l’autostima dei professionisti che incontro e che io intervenga ad accendere la loro candela, far divampare semplicemente la fiamma di qualcosa che hanno già dentro di sé.

In tutto questo indubbiamente c’è il mio percorso formativo in psicologia.

Ivan Schirmenti

Siamo creativi, siamo differenti, siamo un brand. Questo il tuo slogan che, però, ha al suo interno due concetti molto specifici il ‘noi’ di una pluralità di soggetti e   l’immagine del brand. Quest’ultimo come si sposa con il concetto di fotografia?

 Il fotografo è un artigiano e come ogni prodotto di artigianato, come può essere una borsa Gucci ad esempio, deve essere riconoscibile e riproducibile con delle caratteristiche che lo rendano unico, pur mantenendo la possibilità di essere venduto in punti vendita sparsi in tutto il mondo. La fotografia come brand, diventa un’esperienza, un oggetto che ha un’ambizione di possesso, uno status.

Il noi è motivato dal fatto che la fotografia Schirmenti, diventando un brand, diventa condivisa nella metodologia, nella composizione e nella narrazione, dal mio team. I miei collaboratori sparsi tra i 4 punti vendita italiani e uno in Germania, a Francoforte sul Meno, hanno con me una visione condivisa.

Essere artigiani ci rende creativi, ma anche preziosamente ambiziosi nella produzione di un prodotto, paradossalmente materiale, ma che porta con sé un’immaterialità potentissima che è quella dell’emozione che dà una buona composizione di forme e luce, ma con il rafforzativo emotivo di un ricordo. Una formula davvero vincente.

Quanto è importante e fondamentale per il risultato finale delle tue foto la post produzione?

Io parto dalla semplicità dello scatto. Ovviamente la post produzione è importante per rafforzare degli elementi emotivi come possono essere contrasto ed ombre, ma non intervengo mai con manipolazioni nelle mie foto. Al massimo cancello elementi troppo stonati, come una scritta brutta di senso e forma su un muro, che rovina una foto che potrebbe essere, senza quell’elemento, perfetta.

Quanto costa in media un servizio fotografico firmato Schirmenti? Chi è il tuo cliente?

Il mio cliente è una persona qualsiasi ma con un budget alto. Mi capitano spesso calciatori o attori, ma anche persone qualsiasi.

Per i detrattori della fotografia di matrimonio, rispetto ad esempio alla foto di moda o d’arte questo premio appena conseguito insegna qualcosa?

Posso parlare della mia esperienza personale di fotografo di moda, vissuta a Milano per quasi 18 anni. Ho sperimentato sicuramente la composizione e l’armonia, ma mi annoiava l’idea di non fotografare il vero. Ho sempre creduto fermamente che fotografare le cerimonie fosse più stimolante.

I detrattori delle foto di cerimonia sono sicuramente poco fantasiosi e non amano il rischio.

Il fotografo wedding, nella stessa giornata, ha il brivido di dover cambiare spesso, in poche frazioni di secondi, il registro da usare. Si passa velocissimamente, nella stessa giornata di lavoro, dalla necessità di sperimentare il ritratto, o il ritratto di famiglia, la foto di moda per gli abiti indossati, la foto d’interni e di architettura per immortalare le location, lo still- life, per dettagli, fedi, bouquet, borsette con strass o cravattini luccicanti, addobbi e preziosi dettagli che rendono speciale quella giornata. Ovviamente, inoltre, la foto della cerimonia racconta una storia e deve essere necessariamente anche reportage.

Il fotografo del wedding è fotografo a 360 gradi, purtroppo a causa di alcuni professionisti, è il listino prezzi basso che svalorizza la categoria.

C’è una differenza tra la fotografia italiana e quella di altre parti d’Europa?

Il fotografo europeo in generale fotografa da solo senza aiutanti.

In Italia, abituati per cultura all’apprendistato, come io stesso sono stato formato, abbiamo creduto, fino ad oggi, che fosse il metodo giusto di creare nuove leve.

Ma dal digitale qualcosa sta cambiando. Oggi chi si affaccia al mondo della fotografia non dimostra più la pazienza necessaria per arrivare ad usare la propria luce. Grazie agli automatismi e alla post produzione, si crede di essere padroni del mezzo e di una nuova poetica, ma questo è un processo di formazione che ha bisogno di tempo e consapevolezza. Gli apprendisti si distaccano presto dagli studi e con presunzione si improvvisano professionisti senza averne appieno la maturazione e questo rende la foto italiana in Europa per certi versi, immatura. Una buona foto è fatta di tanti elementi alcuni dei quali, come soprattutto la padronanza della luce che crea la narrazione con il chiaro scuri, si apprende con il tempo. Quando una foto ha una buona composizione ma è piatta, non ha dramma, il fotografo non è ancora pronto a gestire la sua luce.

Che rapporto hai con i tuoi collaboratori e con i video maker in particolare?

Ai miei collaboratori chiedo che condividano con me il metodo di lavoro. I video maker mi piace definirli nella funzione che chiedo rivestano, gli occhi di un bambino.

Le videomaker,   che nel mio caso sono sempre donne, mentre io gestisco la scena che loro riprendono, devono avere con me una visione unica. Prediligo affiancarmi nella maggior parte dei casi con donne con cui lavoro con più affinità e credo che sia fondamentale che la sposa nel giorno delle nozze possa contare sulle mie assistenti per qualsiasi esigenza e confidenza che esuli dal servizio fotografico. Un valore aggiunto fondamentale.

Chi senti di dover ringraziare di più per il tuo straordinario percorso professionale, in cui rivesti contemporaneamente i ruoli di artigiano e manager?

Sicuramente la mia famiglia di origine e, poi, quella che ho creato da uomo adulto. Ma il mio grazie più grande va a mia madre, lei mi ha inculcato la metafora della candela e della luce da accendere. Ho un tatuaggio che racconta proprio questa candela ed è grazie a mia madre, che mi rincorreva per farmi lavorare con papà, che la mia luce si è accesa davvero. La luce che si ha dentro è la chiave dell’autostima, la consapevolezza di avere una fiamma che ti spinge a perseguire l’obiettivo che quella luce illumina e chiarifica.

Progetti per il futuro?

Confermare il made in Italy nella fotografia, creando, proprio come una casa di moda, fasce di accesso al bene, dal lusso all’economy. Questo progetto convalida sempre, però, l’artigianalità del prodotto. Come un capo Armani, casa da cui discendono i marchi Giorgio Armani, Emporio Armani, EA7, Armani Exchange, così è già ma sarà a breve ancora di più, valido anche per il brand Schirmenti.

Che cosa consiglia ai suoi colleghi matrimonialisti?

Di credere in se stessi, di essere appassionati e di ritagliarsi il tempo per la famiglia. Molti colleghi trascorrono quasi tutte le ore della giornata nei loro studi fotografici, finendo di lavorare tardissimo. Accettano cerimonie ad oltranza anche in giorni importanti per le persone cui vogliono bene. La vera poetica del successo non è vivere per il lavoro, ma trovare la passione in quello che si fa e farla fiorire, e portare quell’energia fuori dal lavoro. Questo si può fare solo rivedendo i listini prezzi senza svendersi.

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