Rieccoci con la nostra Mini-rubrica “SorprendenteMente” dove oggi riprenderemo il discorso sulla discriminazione accennato precedentemente.

Con questo termine in genere si intende “un trattamento diverso riservato a un particolare gruppo sociale da parte di un altro gruppo sociale” allo scopo di favorire il proprio gruppo di appartenenza basandosi sulle differenze con gli altro che sono viste sotto una luce negativa. Mentre, come visto precedentemente, lo stereotipo chiede l’impiego dell’aspetto cognitivo ed il pregiudizio anche quello emotivo, la discriminazione riguarda l’azione e la reazione, dunque l’aspetto comportamentale. Del resto, in psicologia, la definizione di discriminazione riguarda la reazione di “uno stesso organismo che risponde in modo diverso a stimoli diversi”. Essa si contrappone alla generalizzazione che prevede la stessa risposta a stimoli diversi: entrambe possono essere condizionate e non ed a tale proposito, interessanti sono gli studi fatti sull’argomento per i quali non si po’ prescindere dal nominare Ivan Pavlov. in estrema sintesi (non me ne vogliano gli “addetti ai lavori”) egli scoprì che è possibile condizionare la risposta di rilascio all’abitudine modificando gli stimoli. Le risposte apprese a specifici stimoli si sviluppano fin dall’infanzia ove possono esservi anche risposte disadattive a determinati comportamenti come nel caso di ansia e fobie. Tornando alla discriminazione ed al fatto che essa sia legata agli atteggiamenti, è necessario comprendere come si formino questi ultimi. Le teorie che si sono focalizzate sull’argomento sono molteplici: già nel 1968 Zajonic parlava della necessità del contatto diretto con l’oggetto, la “mera esposizione” (a ciò che sarebbe stato discriminato; Bandura, invece sosteneva l’importanza dell’osservazione de comportamento altrui, mentre Bern si focalizzava sull’osservazione del proprio comportamento. Un altro fattore che contribuisce alla formazione degli atteggiamenti, riguarda i racconti fatti da altri e, non ultimo, l’esperienza diretta. Dal punto di vista cognitivo, dunque, l’associazione tra a rappresentazione dell’oggetto e la valutazione dello stesso, sulla base delle esperienze (dirette e non) che vengono richiamate alla memoria alla presenza dello stimolo. Vale la pena specificare che le esperienze in questione, oltre che “dirette”, possono essere “mediate” ossia basate sull’osservazione del comportamento degli altri (famiglia, conoscenti ecc) oppure derivanti da comunicazione ove quest’ultima è percepita come un dictat. Alla combinazione di questi fattori, però bisogna aggiungere un altro dato interessante che richiama in qualche modo le modalità difensive dei meccanismi biologici relativi al sistema immunitario. Qualcuno direbbe “Incredibile, ma vero”, in quanto molti studi hanno dimostrato che in presenza di uno stimolo percepito come “differente” o “diverso”, le reazioni psicologiche attivano una modalità “protettiva”. In tal senso, la persona, che sarà oggetto di discriminazione, viene vissuta come potenziale minaccia dal soggetto in questione, sia riguardo il proprio equilibrio interno, che in merito alla propria identità sociale. Per questo motivo si verificano modalità reattive che includono l’attivazione di ansia, fino alla vera e propria fobia, ma quanto detto in relazione ai meccanismi psicologici concernenti la percezione e l’evitamento della diversità non giustifica, e tantomeno autorizza, la discriminazione e il disprezzo verso tutto ciò che non è “usuale” o consueto.

Sono tantissime, purtroppo le discriminazioni tuttora in atto nella nostra società: a diretta richiesta, sarò disponibile ad approfondirle in un altro articolo vertendo sui meccanismi psicologici specifici.

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