Etimologicamente il termine greco ‘therapeuein’ significa ‘servire gli dei’, ovvero risolvere sia la malattia che i conflitti sociali, facendoli rientrare nell’ordine divino mediante un rituale. L’iter terapeutico oggi dà la medesima sensazione al paziente, nel senso ch’egli ha davvero l’impressione di dover mettere ordine in se stesso, se vuol raggiungere la guarigione.

Ascoltando le fiabe, il bambino inconsapevolmente immerge la sua interiorità in un mondo che reca ‘l’ordine divino’, e che rappresenta il sacro mitologico.

L’identificazione con i personaggi lo conduce in una sorta di palestra emotiva in cui vivrà in anticipo le dure realtà che lo attendono; “le vivrà in anticipo perché sentirà, soffrirà e si rallegrerà insieme ai suoi personaggi che gli sono così vicini”. Quindi, proprio per il contenuto morale delle fiabe,    il bambino riceverà da esse un insegnamento morale altissimo trasfuso dalla sua fantasia. La fiaba va raccontata dalla mamma, dalla maestra o da un adulto, e mai attraverso un disco, in quanto è fondamentale il dialogo tra chi racconta e chi ascolta, perché è necessaria la presenza fisica e psichica della persona che narra, nella trasmissione dei valori insiti nella fiaba.

Etimologicamente il termine greco ‘therapeuein’ significa ‘servire gli dei’, ovvero risolvere sia la malattia che i conflitti sociali, facendoli rientrare nell’ordine divino mediante un rituale. L’iter terapeutico oggi dà la medesima sensazione al paziente, nel senso ch’egli ha davvero l’impressione di dover mettere ordine in se stesso, se vuol raggiungere la guarigione. La fiaba attualmente é sempre più considerata come strumento di arte-terapia, in quanto incanala e libera l’energia creativa di ciascuna persona che avverta l’esigenza terapeutica di risolvere il conflitto inconscio-conscio, percorrendo un’analisi che possa rappresentare anche una ri-creazione di sé.

Quindi la fiaba si pone come canale creativo e la creatività di conseguenza diviene liberazione dell’io. La conoscenza della struttura della fiaba, secondo ‘lo schema di Propp’, consente al terapeuta di guidare il paziente-artista, nella costruzione di fiabe, attraverso le quali avviene la liberazione di energia psichica, la focalizzazione di situazioni dolorose, il vaglio razionale ed il distacco emotivo dal meccanicismo che sottende ad alcune dinamiche relazionali. A tale proposito Paola Santagostino, psicoterapeuta, ha scritto un libro intitolato: ‘Guarire con una fiaba. Usare l’immaginario per curarsi’, nel quale riporta, dei suoi pazienti, le trasposizioni fiabesche della propria psiche turbata da dinamiche relazionali dolorose.

Sunderland Margot in ‘Aiutare i bambini…che hanno paura’ parla delle sue attività psicopedagogiche con l’aiuto di una fiaba, avvalorando sempre più la tesi della valenza terapeutica dell’arte e quindi del beneficio costante ed eterno della fiaba.

Schneider Jacob e Gross Brigitte in ‘Fiabe e costellazioni familiari…’ utilizzano l’immaginario nella terapia sistemico –fenomenologica, per aiutare i pazienti a identificare nel proprio ‘copione di vita’ i congiunti, anche se deceduti, che determinano in loro nevrosi o comunque malessere esistenziale.

La creatività nella narrazione di racconti fiabeschi, quindi, si sviluppa lungo un arco che tiene insieme due dimensioni temporali, almeno: un ‘prima’ che è ancestrale e, alla fine dell’arco, un tempo che possiamo dire ‘altrove’. Questa tensione ha anche una valenza pedagogica, dal momento che la fiaba parla a una dimensione umana ed esistenziale che ha come riferimento il bambino, il bambino di ognuno, il fanciullo che non vogliamo dimenticare di essere. E allora, in conclusione le immagini tradizionali, quali il bosco, il castello, il mare, il principe, i maghi e le fate, che ritroviamo ancora in parte nelle avventure di Harry Potter, potrebbero trasfigurarsi in altre fiabe, in immagini di ambienti e personaggi del vissuto dei bambini di oggi.

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