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L’etichetta secondo Teresa Bruno

Antonia Di Nardo

Antonia Di Nardo

Per me la vita è un continuo stupore, sarà la mia tendenza al surrealismo. Sarà la convinzione, come diceva Frida Kahlo, che "Il surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone in quell'armadio in cui si voleva prendere una camicia.

Pubblicato il: 1 Luglio 2025
7 min lettura

Questa settimana per i lettori di Plus Magazine ho incontrato un’imprenditrice irpina stimata in Italia e nel mondo per il vino che produce, per la sua capacità imprenditoriale, ma anche per la sua grande umanità. Cerchiamo di conoscere Teresa Bruno dell’azienda agricola Petilia e Presidente del Consorzio di Tutela dei vini irpini. In particolare ho iniziato chiedendole un parere sull’etichetta ma non quella del bon ton o dell’apparenza, delle classificazioni e delle definizioni piuttosto di un mezzo che riesce a inviare un messaggio immediato che ha il pregio di raccontare l’anima di un prodotto. L’etichetta secondo Teresa Bruno, è più che sostanza, ha il gusto e la trasparenza di un buon vino e di tante belle intenzioni.

Chi è Teresa Bruno? E da dove nasce il vino che produce con suo fratello Roberto?

Teresa è una eterna sognatrice, donna amante della terra e del territorio irpino, cresciuta tra agricoltori e vignaioli, tra allevatori e commercianti. Per capire chi sono, forse la chiave è l’attenzione e la mia curiosità per la mimica facciale e il gesticolare tipico soprattutto di chi era anziano quaranta anni fa. Sono sempre stata attratta dalla cultura contadina e dalle soluzioni che questa riserva sempre. L’idea di produrre vino nasce perché Roberto in giovanissima età e successivamente, mentre frequentava l’Università, volle impiantare dei vigneti a Greco di Tufo. Era partito con l’impianto di una vigna piccola per poi arrivare in breve tempo a circa 10 ettari di vigneto. Nel 1999 il rifiuto da parte delle due aziende più grandi del territorio ad acquistare le uve, portò Roberto e me a prendere una decisione imprevista trasformare le nostre uve in vino. E così circa mille quintali di uva divennero seicento ettolitri di vino greco di Tufo docg nella vendemmia 1999.

 

I lettori di questa rubrica si interessano alla parte visiva, quindi le chiedo, come nasce un’etichetta per il vino? Ci racconti l’etichetta secondo Teresa Bruno.

Quando un’idea diventa realtà come un prodotto di consumo, dopo la produzione si presenta una nuova esigenza. Si deve necessariamente immaginare un nuovo percorso: l’imbottigliamento. Nasce, quindi, l’esigenza di scegliere il contenitore e identificarlo. Fu così che dalle scale bianche, all’inizio del Corso Garibaldi di Altavilla Irpina, luogo di ritrovo e bivacco dei giovani degli anni novanta, si pensò alla costituzione di Petilia. Il nome del progetto che oggi è la nostra azienda agricola fu generata da un vecchio libro della storica Biblioteca comunale Cosimo Caruso di Altavilla.

L’etimologia di Petilia viene dal greco antico e significa piccola patria, nuova patria. Sembrava il nome appropriato per il nostro nuovo inizio, un nuovo cammino in un terreno totalmente inesplorato per noi che ci dava speranza, sogni e progetti, proprio come un luogo interiore da abitare.

Ci parli della parte visiva, immaginifica della vostra idea.

Fu l’incontro fortuito con la restauratrice, storica del costume ed archeologa Lucia Portoghesi a dare l’input per il messaggio che l’etichetta avrebbe trasmesso. Ci propose una vecchia moneta di Altavilla Irpina… un grifone a dominazione dei tre colli con degli arazzi rappresentanti uva bianca con foglia trilobale che non è tipica dell’uva, ma di giunchi tipo edera. Lucia Portoghesi era riuscita a cogliere il nocciolo della nostra idea, a stimolare la parte visiva con un suggerimento di sintesi che colpì le nostre anime.

Lo spirito non viene smosso da una semplice immagine ma da chi la racconta e la trasmette … quella vecchia donna colta, saggia, generosa nel tempo dedicatoci, aveva senza saperlo, dato la nascita alla nostra etichetta che raccontava la storicità del vitigno, il percorso del nostro paese nel tempo e il futuro di noi due ragazzi.

 

 

Una bottiglia di vino può diventare un oggetto di design, in alcuni casi addirittura uno status simbol?

 Il vino, se prodotto nel rispetto dell’uva, è un omaggio al territorio. La parte esteriore, la bottiglia e l’etichetta che rappresenta l’identità aziendale, il percorso imprenditoriale, la filosofia produttiva, diventa status simbol se qualcuno è capace di raccontare, spiegare e creare emozioni al momento giusto, nei luoghi giusti e alle persone che, con empatia, si interfacciano con un prodotto che non è fine a se stesso ma ha il sapore della di cultura e del territorio.

Per chi è esperto di vino, c’è una tradizione nella fattura delle etichette che differenzia una nazione da un’altra?

In realtà non lo so perché sono solo un’imprenditrice e non un’esperta, però ogni etichetta racconta qualcosa del produttore o, meglio ancora, qualcosa che il produttore ha trasmesso al suo grafico il quale lo trasferisce nel progetto visivo secondo il suo modo di recepire, proprio come fa un’artista quando gli viene commissionata una tela.

bottiglia

Alcune etichette vogliono parlare di sé stessi di una storia come la nostra, altre hanno lo scopo di essere attenzionate dal mercato della ristorazione o devono attirare l’avventore della grande distribuzione. Ogni etichetta ha un racconto a sé, un obiettivo, ma tutte gareggiano per il mercato. Certamente poi, per chi cerca le tradizioni territoriali, il terroir, i luoghi e i climi che influenzano la tipicità del vitigno, allora si riscontrano modalità di immagine o di disegno inequivocabili.

La storia di Petilia, si può raccontare anche attraverso l’evoluzione delle sue etichette?

Per un certo verso sì e credo valga per tutte le aziende che fanno vino. In realtà la nostra etichetta non è mai cambiata. Ad essere modificata è stata la bottiglia e, dunque, l’esigenza di comunicare con forme diverse il nostro percorso iniziato con il desiderio di modernità dalla prima bottiglia cilindrica, alta e signorile, lasciando che la tradizione fosse espressa proprio dalla grafica del grifone dell’etichetta. Al contrario, con la seconda versione, l’etichetta è diventata più piccola, conservando la grafica, un’etichetta francobollo e abbiamo scelto una bottiglia troncoconica. Siamo passati, poi, dai modelli di bottiglia bordolese a borgognotta, per finire alla tanto desiderata Renana verde smeraldo ed etichetta giornale.

Teresa Bruno

 

E c’è, invece un’etichetta in cui riconosce l’innovazione, la fermezza dell’affermazione della personalità di Petilia nel mondo dell’enologia?

Sì… ritengo che la prima etichetta con la prima bottiglia rappresentasse tutta la nostra forza. L’ultima, invece, è la saggezza di un contenitore prodotto da sabbie pure non riciclate, un’etichetta pulita. Ad un certo punto si arriva ad una saggezza e consapevolezza diverse.

A suo parere le etichette dei vini irpini si adeguano a tendenze di “moda” o conservano una loro personalità storica?

È una domanda davvero difficile perché conosco la maggior parte dei produttori e dei loro percorsi. Nelle etichette dei produttori irpini riconosco la laboriosità, il sacrificio, il desiderio di riscatto di un entroterra difficile ma tanto buono e genuino. Nelle loro etichette, a cui spesso vengono dati dei nomi di luoghi, riconosco il territorio a parte qualche eccezione.

Alla fine cosa è la moda? Ė la capacità di trasferire emozioni attraverso una artigianalità. L’Irpinia agricola incarna la vera moda del futuro. Quando il mondo sarà andato troppo avanti per ricordarsi della strada fatta, e il futuro sarà già il passato, l’Irpinia, sarà premonitrice e più avanti di tutti. Perché la salubrità e l’essenziale non si possono costruire in quanto peculiarità di un territorio e di una tradizione.

Il territorio irpino in questo è e sarà sempre grande maestro.

 

 

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