La sesta fiaba contemporanea di Elena Opromolla, tratta dalla raccolta intitolata Oltre la fiaba della Multimage, la casa editrice che pubblica testi profondamente legati ai diritti umani ed alla loro tutela, affronta questa settimana il tema della solitudine dei bambini che hanno tanti beni materiali, ma non il calore umano.

Sulla tavola imbandita, tra i piatti fiorati ed i bicchieri di vetro, il pane biondo a fette nel cestino, i tovaglioli candidi di carta e le posate d’acciaio, c’erano una bottiglia longilinea ed elegante con un cavaturaccioli adagiato ai suoi piedi, sulla tovaglia di stoffa ricamata.

Il cavaturaccioli amava quella bottiglia, ma nessuno lo sapeva, perché questi era riservato e muto. Se ne stava sempre tutto solo nel cassetto, in un settore a parte del portaposate; non aveva mai modo di parlare e quindi era anche molto timido.

Le posate chiacchierine sempre tutte insieme, si divertivano un mondo a farsi compagnia, lì nel cassetto della credenza. Ogni giorno partecipavano alla festa del pranzo e della cena. Si preparavano a far bella figura, sempre pulite e luccicanti, mentre il cavatappi se ne rimaneva tutto solo nel portaposate al buio.

Poi ogni tanto, se la bottiglia capitava alla festa del pranzo o della sera, lo invitavano e lui non perdeva l’occasione per ammirare la sua amata. Un dì, mentre un bambino giocava con lui, il suo braccio di metallo fuoriuscì dal perno che lo faceva ruotare e provò un gran dolore: alcune gocce caddero come lacrime dal tappo appena tolto e, sulla tovaglia, parvero di sangue.

II bimbo dispiaciuto voleva a tutti i costi ripararlo e continuava ad accostare il braccio al corpo del cavaturaccioli. Le sue manine calde e piccoline consolarono il suo dolore. Non era stato mai così coccolato e consolato. Alla fine il braccio gli fu rimesso e ritornò nel cassetto.

Tornò ad essere solo, anche se con quei bei ricordi: le belle bottiglie sturate, eleganti e slanciate, semplici o panciute, l’incidente al braccio, i giochi con il bambino e l’affetto con cui quest’ultimo l’aveva risanato.

Finalmente dopo tanta solitudine, un pomeriggio giunse nel cassetto, nel suo stesso scompartimento, uno schiaccianoci d’acciaio, allegro e chiacchierone che rimase in sua compagnia per un pò.

Questo compagno però soffriva a volte di mal di denti; parlava sempre anche di notte e si muoveva continuamente.

Dopo un po’ di tempo quella presenza cominciò ad infastidire il cavatappi, tanto, che ad un certo punto rimpianse la sua solitudine di un tempo.

A salvarlo fu quel bambino che spesso cominciò a prenderlo, per giocare nella sua cameretta, quando la mamma ed il papà erano troppo impegnati nel lavoro e non avevano tempo per lui.

Entrava nel suo regno, in quella camera piena di luci e colori, di pupazzi e giochi colorati, dove però era difficile invitare qualcuno, perché per lui non c’era mai tempo.

La mamma aveva i suoi impegni con il lavoro, per non far mancare mai nulla al suo piccolo; aveva il suo gran da fare per organizzare la giornata: la spesa, la scuola, la palestra, la musica, le sue amiche e, credendo di far bene, dimenticava di trascorrere un po’ di tempo da sola con il figlio.

II papà affettuoso sì, ma indaffarato per la sua carriera, non faceva mancare mai niente di materiale in casa ed al figlio, ma dimenticava anche lui di parlare e di giocare con il proprio bambino.

Il piccolino si era però creato il suo regno: un mondo nel regno della fantasia. A scuola anche le mamme dei suoi compagni erano sempre  sempre impegnate e mai disponibili a far incontrare i figli, se non in rare occasioni.

Quell’omino di ferro affascinava il bambino, quando, posizionato sul tappo della bottiglia da stappare, ruotava la testa ed alzava contemporaneamente le braccia. La sua gamba di acciaio attorcigliata affondava la punta nel sughero del tappo.

Com’era emozionante guardare quell’operazione, non si sarebbe mai stancato di assistere a quello spettacolo.

Ogni volta che si presentava l’occasione, ammirava estasiato l’estrazione.

Fu così che tra il bambino ed il cavaturaccioli nacque una forte amicizia.

Spesso il piccolo lo prendeva dal cassetto e lo portava con sé a giocare: diventava così una trivella per perforare il pavimento in cerca del petrolio, oppure un passante per la strada tra le macchinine variopinte; a volte si trasformava in uno pterosauro in volo nel cielo della preistoria o un atleta tra le sue manine che non si stancavano di fare andare su e giù le sue braccia di metallo.

Quando tornava nel cassetto era spossato e stanco, ma si addormentava felice e soddisfatto.

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