Editoriale – Ma che bello nasillo! È lei!

La vecchia zia mangiatrice di nasi di mocciosi, che attraversavano il suo cammino. Rigorosamente di nero vestita, ‘sinale’ con enorme tasca contenente segreti incofessabili, tra cui caramelle risalenti alla grande guerra, cioccolata distribuita dagli americani sbarcati ad Anzio e confetti di matrimoni risalenti al dopoguerra, che ricompensavano i pargoli della orrenda presunta pseudomutilazione. La mia si chiamava Celeste, anzi, zí Celeste, perché dopo una certa età diventavano zie, d’ ufficio. Per arrivare “abbascio ai voschi” dove viveva la mia nonna materna, bisognava prendere l’autobus che ci lasciava sull’Ofantina, all’altezza del ponte che poi si ricongiungeva con una stradina che portava nella contrada; la casa di nonna Carmela era l’ ultima di quella frazione contadina pullulante di vecchie zie che dimostravano il proprio affetto pizzicando rosee guanciotte e rubando nasi: ricordo ancora le mani gelide anche in piena estate che mi stropicciavano il viso e le dita rugose che mi strappavano il naso.- Ma che bello nasillo! – sorrideva soddisfatta zì Celeste, mostrando il pollice stretto tra l’ indice e il medio, poi infilava la mano nella tasca del grembiule per nascondere il corpo del ‘reato’ e tirava fuori le famigerate leccornie di cui sopra, pescando a caso. Comincio a pensare che le dimensioni del mio naso siano il risultato di certe affettuose ‘violenze’ infantili.

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