Lex – L’art. 1669 c.c. prende in esame l’ipotesi in cui, relativamente agli edifici o altri beni immobili destinati per natura a lunga durata, l’opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti.

In tale evenienza, manifestatosi il vizio nel corso di dieci anni dal compimento dell’opera (presupposto di operatività della disciplina), l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta denunzia entro un anno della scoperta del vizio (termine di decadenza).

L’azione deve essere proposta entro un anno dalla scoperta del vizio (termine di prescrizione).

Va subito chiarito che l’azione in esame differisce da quella ex art. 1667 c.c.  (“Difformità e vizi dell’opera”). Invero, in tema di responsabilità dell’appaltatore, le disposizioni dell’art. 1669 c.c. c.c. tendono essenzialmente a disciplinare le conseguenze dannose dei vizi costruttivi che incidono negativamente in maniera profonda sugli elementi essenziali di struttura e di funzionalità dell’opera, influendo sulla sua solidità, efficienza e durata, mentre quelle dell’art. 1667 c.c. riguardano l’ipotesi in cui la costruzione non corrisponda alle caratteristiche del progetto e del contratto di appalto, ovvero sia stata eseguita senza il rispetto delle regole della tecnica (Cass. 3002/2001).

La giurisprudenza ha poi precisato che il “difetto della costruzione” che, a norma dell’art. 1669 c.c., legittima il committente all’azione di responsabilità nei confronti dell’appaltatore può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” o il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incide negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo, mentre i vizi (o le difformità dell’opera dalle previsioni progettuali o dal contratto d’appalto), legittimanti l’azione di responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1667 c.c. non devono necessariamente incidere in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera (Cass. 9636/2001).

Per le Sezioni Unite, inoltre, l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo (Cass. SS. UU. 7756/2017).

Altra differenza tra le norme in commento è ravvisata nella diversa natura della responsabilità, contrattuale nel caso dell’ipotesi delineata dall’art. 1667 c.c., extracontrattuale in quella di cui all’art. 1669 c.c.. La diversità si rinviene nella diversa ratio legis posta alla base di quest’ultima norma, tesa a garantire interessi di carattere generale ed inderogabili i quali superano i naturali confini dei rapporti negoziali inter partes tra i quali, ad esempio, l’incolumità personale dei cittadini (Cass. 2313/2008).

In tal senso, le Sezioni Unite hanno precisato che la previsione dell’art. 1669 cod. civ. concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 cod. civ., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera) può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 cod. civ., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 cod. civ., compresa la colpa del costruttore (Cass. SS. UU. 2284/2014).

Tra i vizi dell’immobile idonei a fondare un’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 1669 c.c., rientrano altresì quelli sorti in conseguenza delle caratteristiche del suolo ove sia stata realizzata la costruzione, sicché sono tenuti al risarcimento del danno nei confronti del proprietario che abbia, per tali ragioni, subito un pregiudizio, tutti i soggetti che nel progettare e realizzare l’opera, non ne abbiano tenuto debitamente conto, secondo la diligenza professionale e le norme tecniche vigenti in materia (Cass. 26552/2017). In siffatta ipotesi, a nulla rileva in contrario la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, rendendosi sia l’appaltatore che il progettista, con le rispettive azioni od omissioni – costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrenti in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati nel medesimo art. 1669 cod. civ. -, entrambi autori dell’unico illecito extracontrattuale, e perciò rispondendo, a detto titolo, del danno cagionato.

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