Street photography e street art
Antonia Di Nardo
Per me la vita è un continuo stupore, sarà la mia tendenza al surrealismo. Sarà la convinzione, come diceva Frida Kahlo, che "Il surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone in quell'armadio in cui si voleva prendere una camicia.
L’attenzione per la street photography, per la street art, e per tutto ciò che è godibile al primo colpo d’occhio, ha fatto crescere vorticosamente negli ultimi decenni l’attenzione sulla produzione di arti visive che nascono nei luoghi sociali di condivisione: dai contenuti web, alle strade delle città, alle metropolitane, agli ambienti di design, i quali diventano occasione di distrazione e fruizione del bello. Una tendenza che si afferma come una rivoluzione dagli anni ‘70 e che, con i nuovi mezzi di comunicazione, permette, oggi, ad un simbolo, ad un segno, di diventare virale o addirittura iconico. Regina della comunicazione è diventata la fotografia, con tutti gli inganni e le sofisticazioni che l’intelligenza artificiale oggi sottende.
La street photography si afferma dalla fine del XIX secolo fino alla fine degli anni ‘70, un intervallo che vede gradualmente affacciarsi sul mercato le macchine fotografiche portatili.Se la fotografia degli anni ‘70 ci insegna che la ripresa della macchina fotografica è spesso un testimone inconscio della presa in opera, oggi, capita la potenza narrativa della foto, e con i nuovi mezzi di riproducibilità, la costruzione dell’immagine stessa diventa “la realtà” che si vuole fare credere.

È in questo scenario contraddittorio che si muovono molti dei fotografi più apprezzati al mondo che fanno della testimonianza sociale la loro ragione di essere.
Olivo Massimo Scibelli, è un fotografo irpino, nato a Monteforte Irpino, nel 1954. Si è avvicinato alla fotografia agli inizi degli anni ‘70, utilizzando una Yashica-12 con il formato 6×6 di suo padre. Ha fotografato dal 1977 al 1985 per il giornale sindacale della FILCEA-CGIL di Avellino La Voce dei Lavoratori. Come fotografo si occupa principalmente di reportage sociale.
Per i lettori di Plus Magazine mi racconta un po’ della sua storia.
«Ho incomincio a fotografare con la Yashica 6×6 di mio padre.
Nel 1976 mi iscrivo ad un corso fotografico per corrispondenza della Radio Elettra, non completo le lezioni ma mi faccio arrivare tutto il materiale didattico, compreso l’attrezzatura della camera oscura, che monto in una stanza a casa mia.

Compro, poi, la mia prima macchina fotografica, una Petri 35 mm, dopo qualche anno un’altra 35 mm, una Konica, e successivamente due Canon. Ho comprato per fare dei lavori professionali due Mamiya C330 6×6 e nel 2000 compro l’ultima analogica una Nikon F100, nel 2004 sono passato anche io al digitale, sempre comprando un corpo Nikon. Nel corso degli anni mi hanno sempre incuriosito le macchine fotografiche che avevano fatto la storia, soprattutto, per comprendere meglio anche le difficoltà che avevano incontrato i fotografi nei vari periodi. In più di 40 anni ho collezionato alcune macchine fotografiche e cineprese, tutte costruite tra 1895 e 1960, di vari formati e case fotografiche diverse.
Nel 1976, anche per mettermi alla prova, rispetto a quello che apprendevo leggendo le lezioni del corso, incomincio a fotografare, sviluppare e stampare in bianco e nero le fotografie, di soggetti, con l’idea poi di partecipare a dei concorsi fotografici a livello nazionale come; anziani, artigiani, senza fissa dimora, zingari e paesaggi.»
Ed è così che Massimo si appassiona alla gente, al popolo, a chi manifesta una propria idea condividendola in gruppo, dove la voce sembra si alzi più in alto, diventando un fotografo testimone di un nuovo umanesimo per immagini.
I temi in cui si cimenta sono sempre quelli dell’umanità fragile o combattiva in tensione, in atti concreti a manifestare i propri diritti. Rom, terremotati, lavoratori i suoi soggetti più amati.

Flumeri, l’alzata del giglio
Ha fotografo per la Filcea Cgil di Avellino con sede a Solofra, varie manifestazioni tra cui gli scioperi per l’ambiente, per la delocalizzazione delle concerie dal centro abitato, per i trasporti, per i rinnovi contrattuali, le feste del 1° Maggio, il taglio della scala mobile, per la ricostruzione delle zone terremotate, la commemorazione di Aldo Moro nel 1978, l’uccisione di Guido Rossa nel 1979, le concerie del centro storico di Solofra fra il 1979/1980 tra i suoi tantissimi reportage.
Ma, come ogni fotografo sociale, sa bene che per evocare la presenza dell’uomo è molto efficace la sua assenza: la carrellata delle sue foto sulle opere incompiute gridano la vita che non è mai vissuta in quelle mura disabitate.
Nel corso degli anni Olivo ha realizzato diverse mostre fotografiche, ricevendo ovunque apprezzamenti di pubblico e di stampa. Gli chiedo se c’è qualcosa che bolle in pentola.
Mi sorride: «In questi ultimi anni ho fotografato in Campania gli eventi e le rievocazioni storiche, anche quelli fra sacro e provano, i cosiddetti Battenti – Vattienti o Fuienti, i Gigli Carri e i Maio nell’alta e bassa Irpinia e nel napoletano, il rito delle sette Madonne sette sorelle, i riti settennali di Guardia Sanframondi nel 2017 e nel 2024, alcune processioni del venerdì Santo. Sono pronto per una mostra».

Street photography e street photography, suonatori
Ancora una volta il popolo, nei suoi sentimenti di fede questa volta, l’attaccamento alla credenza, la speranza dell’espiazione, di un miracolo o una grazia, ma sempre nella coralità dei gesti, come nel sollevamento dei gigli, tutto deve essere sincrono ed armonico. Il corpo del singolo diventa il corpo di tutti, tanto da avere addirittura il viso coperto durante il rito dei battenti di Guardia Sanframondi: non solo pudore e annientamento dell’individuo, l’estrema solitudine dell’uomo che si esprime in riti collettivi.
La mostra di Olivo Massimo Scibelli sarà inaugurata lunedì 24 marzo alle 10.00, nel Museo del Palazzo della Dogana dei Grani ad Atripalda, in Piazza Umberto I e sarà visibile gratuitamente fino all’11 aprile.
Il titolo dell’esposizione è CARRI GIGLI E MAI, Tradizione e riti in Campania, “Prigionieri di una fede onore e passione”.
