Lex – La possibilità che i coniugi possano, in sede di separazione consensuale, divorzio congiunto e procedimenti camerali relativi al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, disporre il trasferimento immobiliare in favore di uno di esso, sconta le legittime perplessità di alcuni Tribunali (tra i tanti il Tribunale di Genova), tanto sulla scorta dei seguenti rilievi. In particolare, nel caso in cui il trasferimento immobiliare fosse attuato innanzi al Tribunale, questi non sarebbe tenuto ad effettuare i controlli che, negli atti inter vivos, sono eseguiti dal notaio (ad esempio, a proposito dell’art. 29, comma 1 bis L. n. 52/1985); potrebbe configurarsi un’elusione fiscale per effetto della differente tassazione degli atti pubblici rispetto agli importi dovuti a titolo di contributo unificato; il magistrato che sottoscrive il verbale, a differenza del notaio, non ha poteri certificativi e/o roganti, conseguentemente non può accertare l’identità delle parti, la relativa legittimazione a disporre del bene o la sua libertà da vincoli, ipoteche, etc., tanto per citarne alcuni.

Sicché si deve a Cass. civ. 10 febbraio 2020, n. 3089, l’Ordinanza con la quale sono state investite le Sezioni Unite, al fine di risolvere il contrasto interpretativo in esame.

Certo è che la Cassazione (da ultimo, Cass. Civ. Sez. I, Ord. -ud. 27.01.2021- 24.02.2021, n. 5065) è da sempre orientata ad ammettere la possibilità di inserire nei verbali di separazione consensuale o tra le conclusioni congiunte di divorzio le clausole contenenti trasferimenti immobiliari efficaci, anziché la mera promessa di attuarli (quest’ultima la sola ipotesi percorribile per il Tribunale di Milano – 21 maggio 2014 -, stante l’ostacolo insormontabile degli artt. 155, comma 2, c.c. e 156, comma 1, c.c., entrambi atti a riconoscere ai coniugi la sola possibilità di determinare contenuto e modalità dell’obbligo di mantenimento, non anche la possibilità di attuarlo direttamente).

Così, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole) e che ad esso non sono immediatamente riferibili. Queste pattuizioni si distinguono da quelle che pur trovando la loro collocazione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali: art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutto leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purché non ledano diritti inderogabili.

E’ di tutta evidenza, allora, che le perplessità delle Corti di merito sorgono per le pattuizioni che trovano causa nella separazione o divorzio (contenuto necessario dell’accordo), non anche per quelle pattuizioni che trovano mera occasione nello strumento di risoluzione della crisi coniugale, soggette invece al regime ordinario dei trasferimenti immobiliari.

Il conflitto giurisprudenziale è stato da ultimo risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite.

Con sentenza n. 21761 del 29/07/2021 le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: ”sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari“.

D’altra parte, si afferma, che l’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) può essere legittimamente adempiuto dai genitori – nella crisi coniugale – mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprietà di beni mobili o immobili ai figli “senza che tale accordo …. integri gli estremi della liberalità donativa, assolvendo …. ad una funzione solutoria – compensativa dell’obbligo di mantenimento” (Cass. 3747/2006).

Trattasi di pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, soggette al principio di meritevolezza, ben possibili nel nostro Ordinamento, essendo “indifferente, in definitiva, nella giurisprudenza di questa Corte, la modalità con la quale il regolamento di interessi avvenga, purché esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti – per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento – in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al più presto, quanto meno sul piano economico.”.

Tanto, ovviamente, “non esime il giudice dal verificare se tale accordo abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento.” (Cass. N. 2088/2005).

E’ certo, allora, e tanto è dirimente, che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei suoi aspetti formali dall’ art. 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza – redatto da un ausiliario del giudice ai sensi dell’ art. 126 c.p.c. – (titolo per la trascrizione, a norma dell’art. 2657 c.c. -Cass. 10443/2019) e ne subordina l’efficacia all’omologazione, attribuita alla competenza del tribunale (Cass. 4306/1997).

Non osta all’ammissibilità dei suddetti trasferimenti immobiliari il disposto di cui alla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, a norma del quale “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari“.

Infatti, la norma fonda la previsione di nullità sulla mancanza nell’atto dell'”identificazione catastale”, nonché del “riferimento alle planimetrie depositate in catasto” e della “la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. Si tratta dunque, com’è del tutto evidente, di una nullità testuale (art. 1418 c.c.) di carattere oggettivo che, a prescindere dalla esattezza e veridicità degli allegati e della dichiarazione, determina la nullità dell’atto per la sua sola mancanza. Nullità che quindi prescinde dal soggetto a cui è riferibile tale accertamento – “ben potendo la nullità stessa verificarsi qualunque sia il soggetto che roga l’atto, sia esso un notaio o anche le parti private nella scrittura privata autenticata”.

Gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari – previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, art. 29 – ben possono, di conseguenza, essere eseguiti dall’ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario – come accade già in diversi Tribunali, potrà predisporre d’intesa con il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati.

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