Violenza di genere e Patriarcato. Approcci e Scenari futuri
Adriano Russo
Autore di +Plus! Magazine
La questione della violenza di genere e dei femminicidi suscita in questo periodo dibattiti diffusi e socialmente impattanti, aprendosi all’analisi di diverse correnti di pensiero. Quella femminista, in particolare, associa la violenza di genere alla persistenza culturale di codici e modelli comportamentali maschilisti e patriarcali. Al di là di tutto, la violenza di genere, e la devianza in generale, andrebbero forse analizzate alla luce della loro ambivalenza e complessità, che si estendono dalla responsabilità individuale del reo alle diverse variabili storico-generazionali, sociali e situazionali legate agli “attori” e agli “atti” del “crimine”. Meritevole di analisi appare poi l’esigenza di realizzare percorsi di sensibilizzazione e progetti di rete educativi, formativi, di prevenzione e di orientamento sociale e culturale.

Il Dibattito Social
Tra i vari post emersi sui canali social, uno in particolare ha suscitato un’attenzione rilevante: Una sequenza di immagini fotografiche (donne/madri che partoriscono i loro figli) prospettate in rete con lo scopo di orientare ed esigere il rispetto per la donna in virtù della sua funzione riproduttiva. Lo spot recitava: “Non togliete la vita a coloro che ve la hanno donata”! Anche se riproposte in buona fede, certe rappresentazioni assumono forse una valenza simbolica negativa per pretendere il rispetto dell’immagine e del ruolo della donna stessa. Anzi, al contrario, esse possono fomentare insidiosi dualismi e relativismi (“uomo/donna”) e nutrire interpretazioni semplicistiche e stereotopismi sociali che si ripercuotono poi anche nel dibattito “femminicidi e violenza di genere”

Fermo restando il rispetto per la “magia” della funzione riproduttiva del genere femminile, il rischio concreto è che il richiamo a specifici ruoli e modelli vada poi a legittimare il protrarsi di un’attribuzione di senso viziata da una risonanza percettiva distorta (nostalgica) verso quegli stessi ruoli, codici e modelli sociali che, seppur nobilissimi, hanno visto per troppo tempo la donna confinata nell’adesione a un sistema culturale e valoriale legato esclusivamente e “funzionalmente” ai destini di “madre”, “moglie” e “domestica”.
Declino e/o resilienza del patriarcato?
L’avvento dello scenario moderno e postmoderno, e l’emancipazione storica e sociale della donna, hanno certamente – e fortunatamente – rinegoziato e ridistribuito, in parte, le dinamiche di potere relazionali, familiari, esistenziali e gruppali, tipiche di una società patriarcale e maschilista, che però possono ancora costituire, in molti casi, alcune delle variabili significative legate al riprodursi e all’innescarsi di comportamenti anomici e devianti e, di conseguenza, al manifestarsi della violenza di genere e dei femminicidi.
Certi “uomini” risentono evidentemente dell’interiorizzazione anomala di un modello di retaggio culturale ormai legato alla fine di un paradigma storico e sociale ben preciso. La vera questione, in questa ottica, non sarebbe tanto legata al perdurare del patriarcato, quanto alla mancata accettazione o all’assimilazione distorta del suo declino, amplificata senza dubbio da altre variabili e patologie dei soggetti devianti. Tesi, quella sul “declino del patriarcato”, sostenuta in questi giorni da diversi esperti e studiosi, il prof. Massimo Cacciari.

E le nuove generazioni?
Il processo sopra descritto può evidentemente valere, in maniera trasversale, anche per le giovani e giovanissime generazioni, le quali risentirebbero di intoppi relazionali enfatizzati da problematiche individuali, sociali, liquide, narcisistiche, egocentriche, che si sviluppano nei processi di socializzazione familiari, gruppali e di coppia (maschilismo, forme di prevaricazione, manie di possesso e di controllo, disturbi ossessivi, ecc.).
Una dinamica “malsana” che si riproduce probabilmente anche per la mancanza di cura, di tutela e di sostegno educativo ed emotivo nei confronti dei giovani, da parte delle agenzie di socializzazione principali, quali appunto la scuola, la famiglia, i media e lo stesso gruppo dei pari. Da questo punto di vista, l’emergere della violenza di genere potrebbe quindi associarsi sia a un disagio culturale e generazionale distorto e generalizzato, sia a singoli episodi di squilibrio (individuali e sociali), che si manifestano e si sviluppano nelle rispettive trame relazionali e di “potere” insinuate all’interno delle coppie stesse.

Quali prospettive per il futuro?
L’introduzione nelle scuole dell’educazione sessuale, sentimentale e relazionale potrebbe forse fungere da strumento di formazione e di prevenzione sociale e pedagogica, quale tentativo funzionale in grado di contrastare e/o di ridurre – quanto meno – l’emergere potenziale di situazioni patologiche, anomiche e di malessere esistenziale, che sfocerebbero poi anche nel dramma della violenza e dei femminicidi. In tale direzione, la speranza e l’ambizione per il futuro risiedono forse nella costruzione di un contesto di senso nuovo e rinnovato, capace di innescare nuovi paradigmi narrativi e conoscitivi, basati sulla configurazione di un equilibrio identitario e di un rispetto simbolico e valoriale di riferimento, per le attuali e future generazioni.
L’obiettivo primario è, in questo senso, la configurazione di un “dover essere”, vissuto come impegno individuale e sociale, come processo di responsabilizzazione socialmente e moralmente necessario, fondato sul vivere civile e sul rispetto dei principi dell’uguaglianza sociale e della dignità della persona. Un percorso che nasce e si sviluppa attraverso un approccio educativo che presuppone la passione, l’impegno ed il lavoro di “una comunità integrata di persone”.
D’altra parte, ogni riflessione sul presente richiede il coraggio di attraversare anche ciò che, apparentemente, non c’entra. Perché i legami tra i fenomeni sociali non si trovano solo nei fatti, ma nelle pieghe sottili del modo in cui li pensiamo. Scoprilo qui.