Le funzioni genitoriali (ultima parte)
Elena Opromolla
Ex docente di Lingua e letteratura italiana i miei interessi sono molteplici e spaziano dall'attualità, alle recensioni, dalla politica agli eventi culturali. Ho conseguito diversi premi letterari e ho partecipato a festival del libro nazionali e internazionali.
Abbiamo visto nel precedente articolo, che le funzioni genitoriali comprendono tutte quelle “azioni” rientranti nel ruolo del genitore o di quella figura di riferimento che si prende cura di un essere umano in crescita.
Come l’insieme armonico e simmetrico delle sfaccettature di un diamante riflette la luce che gli conferisce bellezza e purezza, così la consapevolezza del compito educativo globale ed integrato delle figure di attaccamento influirà positivamente sull’ intero essere del bambino (corpo, mente, emozioni e relazioni), favorendone lo sviluppo psicofisico e relazionale.
Proseguiamo quindi il nostro approfondimento sulle ultime sei funzioni genitoriali che per motivi pratici dettagliamo qui di seguito, ma che in realtà si intersecano e si influenzano nel dinamismo psicofisico della diade madre -figlio e nella triade madre -figlio -padre.
Wilfred Bion, psicoanalista anglosassone di origine indiana, attraverso i suoi studi incentrati sulla nascita del pensiero nel neonato, ha permesso di identificare e definire la funzione significante esercitata dal genitore o della figura di attaccamento. Egli ha introdotto il concetto di funzione alfa, riferendosi al compito della madre di accogliere e trasformare le emozioni primitive dell’infante, come la fame, il dolore, la paura e la frustrazione,(elementi beta che il bambino non comprende ancora e dai quali è travolto) in qualcosa di pensabile, attraverso l’empatia, il contatto, il linguaggio e lo sguardo. In sintesi la madre si delinea come un contenitore che riceve e “contiene” le emozioni del figlio, traducendole in pensieri e parole, che a sua volta il bambino assorbe, per iniziare gradualmente a sviluppare la capacità di pensare e dare senso a ciò che prova.
La funzione fantasmatica: si esplica quando la madre proietta sul figlio fantasie inconsce che condizionano il rapporto. Esse influenzano il modo con cui il genitore vede e interpreta il figlio, come si relaziona con lui, come agisce mentre se ne prende cura. E’ come se ci fosse un filtro tra le parti: aspettative, desideri, paure e ricordi del genitore. Un gioco di specchi che deriva dalla storia personale dell’accudente. La madre e il padre hanno ciascuno un’immagine interna del figlio che non coincide con il figlio reale. Stiamo parlando ad esempio del figlio desiderato, temuto, riparatore, ecc. che influenza il modo con cui il genitore lo accudisce.
La funzione proiettiva: in questo caso il genitore proietta alcune parti di sé sul figlio, influenzandone lo sviluppo. Sono parti che non appartengono al bambino, ma a quel genitore che non le ha elaborate e che si ripresentano nel gioco speculare del rapporto tra le parti in causa. Stiamo parlando dei desideri, delle paure, delle aspettative, dei conflitti irrisolti delle figure di attaccamento. La madre o il padre tende ad attribuire al figlio significato e caratteristiche che in realtà non gli appartengono.
Funzione triadica: negli anni 80 e 90 la Scuola di Losanna ha sviluppato un modello di osservazione delle interazioni familiari, dedicando particolare attenzione al passaggio dalla diade madre- figlio alla triade madre -figlio -padre.

Tale funzione permette al bambino di percepire che accanto a lui ed alla madre c’è e collabora una terza entità, ovvero il padre. Questa funzione favorisce nel piccolo la percezione di non essere il centro esclusivo del legame con sua madre. Inoltre gli permette di uscire dalla simbiosi con la figura accudente primaria, riconoscendosi come individuo distinto e separato. La scuola di Losanna individua la famiglia come un sistema interdipendente nel quale la qualità della funzione triadica dipende dalla coordinazione genitoriale. I ruoli dei genitori non devono essere contrapposti né fusionali, altrimenti nel bambino emergeranno confusione e disagio.
La funzione differenziale si esercita attraverso il comportamento e le cure dei genitori verso ciascun figlio, che si esplicano in maniera “differente”. Il padre e la madre in sintesi si comportano in maniera “differente” tra loro oppure trattano in modo diverso ciascun figlio, relativamente all’età, al genere, al temperamento, alle condizioni di salute oppure alla posizione del figlio/figlia nella fratria (primogenito, secondogenito, etc.). In pratica un genitore potrebbe essere autoritario con un figlio e permissivo con un altro in base al carattere di ciascuno oppure dedicare più tempo e attenzioni ad un figlio con bisogni educativi particolari. I figli potrebbero dal canto loro percepire come ingiusto e discriminatorio il comportamento del genitore, sviluppando rabbia, frustrazione, bassa autostima etc. Si deduce quindi che la differenziazione dei comportamenti genitoriali dovrebbe in teoria essere filtrata dalla consapevolezza del ruolo genitoriale, che come abbiamo potuto constatare è intriso di responsabilità e conseguenze.
Infine analizzeremo la funzione transgenerazionale, che inserisce la nascita del bambino nella storia della famiglia, ovvero in un contesto che affonda le sue origini nelle generazioni precedenti e del padre e della madre.

Una funzione questa che apre uno scenario inquietante e meraviglioso ad un tempo che rende il nuovo individuo un trait d’union tra passato e futuro, nella cui esistenza gravano i destini degli avi di entrambi i genitori. Nel Talmud si legge:” Ci voglio tre generazioni per fare un figlio” intendendo appunto che c’è una storia ovvero un prima dietro la nascita di un bambino. Tale concetto appartiene alle varie scienze che si occupano di educazione e del benessere psicofisico. Essa riguarda tutte le esperienze, i vissuti, le sofferenze, i valori, i modelli educativi e i traumi non risolti ricevuti dai propri genitori, che vengono poi trasmessi da una generazione all’altra, all’interno di ogni famiglia, condizionando in modo impressionante le modalità in cui si esercita la funzione genitoriale.
In conclusione la funzione transgenerazionale può:
– perpetuare la trasmissione silente di dinamiche inconsce, anche se non più funzionali;
-trasmettere o riattivare nei figli situazioni problematiche non risolte (silenzi, lutti, eventi storici);
-dare mandati invisibili ai figli ovvero dare compiti taciti ( “devi farmi felice”, “devi stare sereno” oppure “ devi fare meglio di me ” etc.)
-innescare opportunità di trasformazione ovvero la possibilità di interrompere cicli disfunzionali, modificando consapevolmente la propria azione educativa.
Un genitore con una storia dolorosa alle spalle rischia di trasmettere il proprio vissuto ai figli, ma, attraverso un lavoro personale, può avere anche la possibilità di interrompere il ciclo arcano che lo chiude e non lo fa evolvere.
La genitorialità si configura così come una dimensione della personalità che include una serie affascinante e completa di aspetti o funzioni, che confluiscono nella persona che siamo diventati, come la rosa nella sua pienezza di petali e stami pronta per l’impollinazione.